E’ stata battuta qualche ore fa dalle agenzia di stampa di tutto il mondo la notizia della scomparsa di Dan Fante, rinomato scrittore e poeta contemporaneo, morto a Los Angeles l’altro ieri. Avrebbe compiuto 72 anni il prossimo 19 febbraio.
«Mi chiamo Bruno Dante e vi racconto come andarono veramente le cose». È l’incipit di Angeli a pezzi (edito da Marcos y Marcos nel 1999), il più bel romanzo di Dan Fante, quello che lo ha reso famoso e lo ha fatto apprezzare da molti lettori.
Dan Fante aveva mosso i primi passi della sua carriera come poeta, dopo la disintossicazione dall’alcol che aveva rovinato la vita del padre John Fante, come la sua. Crescere all’ombra di un padre genio non era stato facile, come non facili erano stati i rapporti di John con il violento padre Nick, emigrato dall’Abruzzo a New York. Una specie di maledizione dei Fante.
Scriveva sul «Corriere» nel 2003 che «mi ci vollero parecchi anni per capire: John Fante mi stava insegnando il suo mestiere. Ero suo figlio e mi mostrava come si scrive, allo stesso modo in cui suo padre gli aveva mostrato da ragazzo come si costruisce un muro di pietre».
I personaggi di Dan Fante erano autobiografici: bevevano, facevano a pugni e andavano in galera. Ricordavano, rielaboravano con la fantasia la vita di Dan Fante. Avviene anche in Agganci (2000, in ristampa da Marcos y Marcos) dove un buon cristo parecchio sbandato, Bruno Dante, appunto, licenziato da un’agenzia di vendite dopo l’altra, cerca di fare il possibile per non annegare la propria esistenza. Lo stesso vale per il più tardo Bastardi (Marcos y Marcos, 2009), che chiude la trilogia, dove il protagonista, Bruno, è adesso uno scrittore, o meglio, è l’autore di un romanzo costatogli cinque anni di fatica, rifiutato dall’editore con un’email.